Durante il fascismo

Nel 1922 Angelo Sraffa fu aggredito da un gruppo di studenti: l’atto fu poi rivendicato da un volantino anonimo che denunciava “le malefatte di Angelo Sraffa, despota dell’Università Bocconi”. Inoltre, il quotidiano Il Popolo d’Italia pubblicò un articolo intitolato: “L’Università Bocconi contro i mutilati di guerra ed ex combattenti”, accusando il rettore di ostilità verso le rivendicazioni degli studenti reduci dal fronte.

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Volantino anonimo distribuito in seguito all’aggressione ad Angelo Sraffa, rettore dell’Università Bocconi, 1922. Archivio Bocconi.

Per sedare le polemiche ed evitare il ricorso alla magistratura ordinaria, Sraffa scrisse una lettera in cui chiedeva di "ristabilire la verità perfidamente falsata", destinandola a chi, ideologicamente, aveva potuto ispirare l’attacco: Benito Mussolini, direttore del Popolo d’Italia, Alfredo Rocco, carissimo amico di Sraffa, leader dei nazionalisti e docente in Bocconi, e Giulio Bergmann, presidente dell’Associazione nazionale dei combattenti. In risposta, la commissione assolse il rettore, senza tuttavia negare le accuse, che anzi vennero solo minimizzate.

Solo un anno dopo, Angelo Sraffa venne interpellato da Mussolini per un articolo scritto dal figlio Piero sul Manchester Guardian: la sua lettura molto critica del sistema bancario italiano fu interpretata come un atto di sabotaggio contro la finanza nazionale. La risposta di Angelo Sraffa fu ferma: non avrebbe esercitato alcuna pressione sul figlio.

Ulteriori attriti si verificarono nel 1924: in seguito all’appoggio di un gruppo di studenti antifascisti al docente bocconiano Nino Levi, che denunciava la politica liberticida del fascismo, i GUF (Gruppo Universitario Fascista) chiesero provvedimenti nei confronti del professore. Sraffa ancora una volta reagì in modo prudente ma deciso rivendicando fra i compiti della scuola quello di verificare che nessuna propaganda religiosa o politica venisse svolta all’interno delle aule dell’università, ma su ciò che avveniva al di fuori, le autorità accademiche non avevano potere di intervento.

Da quel momento, la vita universitaria fu periodicamente turbata dagli attacchi del giornale universitario fascista “Libro e moschetto” e da frequenti manifestazioni studentesche. Alle dimissioni, nel 1925, del cosiddetto gruppo torinese — Luigi Einaudi, Attilio Cabiati, Giuseppe Prato e Vincenzo Porri, seguirono quelle di Carlo Rosselli (chiamato da Sraffa per un posto di assistente insieme ad un altro socialista esponente di spicco della Società Umanitaria, Fausto Pagliari).

Nel 1926, considerando le difficoltà che il suo deciso antifascismo stava causando all’università, lo stesso Angelo Sraffa decise di lasciare la guida dell’istituzione, cedendo il rettorato a Ferruccio Bolchini: per preservare l’autonomia dell’Università Bocconi, si era reso necessario il sacrificio di Sraffa in favore di una figura che potesse garantire, almeno formalmente, il conformismo dell’Ateneo rispetto alle direttive del regime, eliminando ogni possibile motivo di contrasto.